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CASSAZIONE: IL LAVORATORE NON È OBBLIGATO A STIMARE L'AZIENDA

Il lavoratore dipendente è tenuto a stimare l’azienda?

L’Avvocato del Lavoro commenta:

Cari lettori, l’Avvocato del Lavoro di Milano/Torino in questo articolo analizza un tema molto delicato, che riguarda il dovere di stima in capo al dipendente nei confronti della propria azienda, analizzando il caso di un lavoratore che aveva, con espressioni poco consone, parlato male dell’azienda per la quale prestava servizio.

L’Avvocato del Lavoro di Milano/Torino preliminarmente chiarisce che in capo al lavorare non sussiste alcun dovere di stima nei confronti della propria azienda, diversamente lo stesso è certamente tenuto all’osservanza dei doveri di diligenza e fedeltà.

Pertanto, nel caso in esame, non viene, dunque, ritenuto giustificato il licenziamento (dovendosi preferire la sanzione conservativa) del lavoratore che, nell’insultare il collega (che non rispondeva al telefono) si era lasciato sfuggire un pensiero negativo sull’azienda.

Sul punto, infatti, i giudici della sezione lavoro della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 12786/2019 hanno confermato l'illegittimità del licenziamento del dipendente.

Secondo l'azienda datrice di lavoro, invece, la risposta gratuita e offensiva del lavoratore nei confronti del collega che non aveva risposto alle sue ripetute e insistenti chiamate, condita con un insulto all'azienda, aveva provocato una irrimediabile lesione del rapporto di fiducia.

Di diverso avviso la Corte d'appello che dichiarava illegittimo e annullava il licenziamento condannando la società a reintegrare il dipendente e a pagargli un'indennità risarcitoria: secondo il Giudice, l'uso di espressioni volgari non integrava alcuna insubordinazione o offesa al datore di lavoro tale da minare l'elemento fiduciario, non sussistendo in capo al dipendente alcun dovere "di stima" nei confronti della propria azienda ed essendo, piuttosto, il lavoratore tenuto all'osservanza dei doveri di diligenza e fedeltà. Pertanto, sarebbe stata sufficiente la comminazione di una sanzione conservativa.

Invece, nel caso di specie, l'espressione utilizzata appariva suscettibile di arrecare pregiudizio all'organizzazione aziendale in quanto del tutto priva di attribuzioni specifiche e manifestamente disonorevoli tali da determinare il venir meno, ragionevolmente, del rapporto fiduciario o di essere lesiva del decoro dell'impresa, pur avendo comunque travalicato i limiti della correttezza.

Alla illegittimità del licenziamento era dunque seguita la tutela di cui al novellato articolo 18, comma 4, legge n. 300/1970.

Ma ancora.

In Cassazione, la società sostiene che la previsione collettiva che impone al lavoratore di usare modi cortesi e corretti verso il superiore e il pubblico non doveva essere posta in esclusiva correlazione con la graduazione delle sanzioni disciplinari conservative, ma configurava violazione dei doveri generali facenti capo al dipendente i quali, in ragione della loro gravità, ben potevano essere sanzionati anche con il licenziamento;

Per gli Ermellini, invece, la ritenuta applicabilità alla condotta in oggetto di una sanzione conservativa è frutto di una complessiva valutazione delle previsioni del contratto collettivo in ordine alle condotte di rilievo disciplinare e alle relative sanzioni, previsioni utilizzate dal giudice del reclamo quale parametro al quale ancorare la valutazione dell'applicabilità, in concreto, di una sanzione conservativa.

Un'operazione coerente con la giurisprudenza di legittimità che riconosce nelle previsioni del codice disciplinare uno dei parametri atti a riempire di contenuto la clausola generale dell'art. 2119 del codice civile.

La giurisprudenza, anche quando si è espressa nel senso della non vincolatività delle tipizzazioni contenute nella contrattazione collettiva, richiedendo, comunque, l'accertamento in concreto della proporzionalità tra sanzione ed infrazione, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo ha, comunque, puntualizzato che nella verifica della sussistenza della giusta causa il giudice del merito non può prescindere dalla considerazione del contratto collettivo e dalla scala valoriale ivi espressa nella individuazione delle ipotesi di rilievo disciplinare e nella relativa graduazione delle sanzioni.

Con accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità il giudice ha, sulla base delle concrete circostanze, ridimensionato la complessiva gravità della condotta puntualizzando che l'espressione usata, in quanto "priva di attribuzioni specifiche e manifestamente disonorevoli, non era tale da arrecare pregiudizio all'organizzazione aziendale, minare il decoro della società o creare pregiudizio economico".

Ha argomentato che essa era, piuttosto, rivelatrice del convincimento del dipendente di una disfunzione amministrativa e frutto di un'abitudine lessicale "senza dubbio volgare e inappropriata", ma priva di intenti realmente offensivi e aggressivi nei confronti del datore di lavoro.

Vuoi saperne di più e scoprire se anche tu puoi impugnare il licenziamento e ottenere la reintegra del posto di lavoro? Rivolgiti ad un nostro Avvocato del Lavoro di Milano o Torino!

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